Disc 1 | ||||||
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1. |
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Alla fine ti trovasti in un bel posto
e li capisti perche t'erano stati chiesti gli occhi in prestito. Per il loro particolare colore, fai tu quale, che ora e l'iride delle finestre. Alla fine ti fu chiaro perche quel gran parlare della tua bella conchiglia auricolare; e quel solleticare. Eccoli i padiglioni, i disimpegni, la chiocciola i vestiboli ecco la stanza. E tu entrasti perche c'era tutto e tutto a oltranza i tuoi comportamenti e le reazioni, le tue belle presenze e gli abbandoni, le carezze in cambio delle tue carezze, e le scontrosita, le irritazioni. C'era anche qualcuno che ti diceva "E tardi dobbiamo andare". E tu dicevi "No, io voglio ancora, ancora io mi voglio mi voglio rivedere e se non tutta, almeno l'inizio". Che cosa avresti fatto per sentirti un po' piu sola e per dolcemente navigare sul dorso o sul tuo petto, e fare una capriola che ribaltasse il cielo. Li c'eran tutti predisposti i baci asciutti e meno e tutti i desideri, e le istintive applicazioni di te eran montate ad arte accanto al tuo profilo, vicino ad ogni tua parte. E tu dicevi "Ancora un altro poco e se non tutto almeno un po' d'inizio". Fare si puo fare ed anche disfare, ma e un'impalcatura. Dipende da chi sopra ci sale. E tu dicevi "Ancora un poco, e se non tutto, e se non tutto almeno l'inizio". E tu, una volta su osservi la tua stanza. Tu, la tua, nella quale, oltre il disfare e il fare, si delineano cose appena appena verosimili. Con ciliege passeggere e grappoli appannati, d'uve segrete e nere dalle pelli boriose e fini, perche tu, che ti senti alle volte una mandria possa indire turchini selvaggi festini. Con curvi cieli estivi che scendono come coperchi su te che bollivi. Con i freschi provvisori che soffiano sotto i cuscini e tu li assalivi con gli abbracci e le guance giaciute con l'equatore perche di te, gia cibata, non e di calore che hai bisogno ma di un orgoglioso refrigerio. |
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2. |
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Ricordo il suo bel nome: Hegel Tubinga
ed io avrei masticato la sua tuta da ginnastica. Il nome se lo prese in prestito dai libri e fu come copiare di nascosto, fu come soffiare sul fuoco. Cataste scolastiche: perche? Quando tutto e perduto non resta che la cenere e l'amore; e lei nel suo bel nome era una Jena. Chi di noi il governato e chi il governatore son fatti che attengono alla storia. Chi fosse la provincia e chi l'impero non e il punto: il punto era l'incendio. Erano gli esercizi obbligatori estetici, le occhiate di traverso, e tu guardavi indietro; c'eravamo capiti, capiti all'inverso. Ci diventammo leciti per questo. D'altronde, d'altro canto. A volte essere nemici facilita. Piacersi e cosi inutile. Un bacio dai bei modi grossolani sfuggi come uno schiaffo senza mani. Talmente presi ci si rese conto d'essere un'allegoria soltanto quando ci capito di dire, indicando il soffitto col naso, di dire "Noi due" e ci marmorizzammo. La corda tesa, amo l'arco e la tempesta la schiuma, il cuore amo se stesso, ma noi non divagammo. L'animo umano e nulla se non e una pietra da scalfire ricavando i capelli e il suo bel piede. Era la collisione, il primo scontro epico, perche non scritto ma cavalcato a pelo, ed ognuno esigeva la terra dell'altro, le mani, la terra, la carne, il terreno. |
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3. |
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Da qualche tempo e recente anche l'antico.
Il disco del Discobolo e cromato. Nella testa di Seneca si sente il motorino di un frullatore. Nelle piramidi continuamente scatta un otturatore. E in te Tubinga, in te non c'e un juke-box e non un tostapane. Tu mi risparmi d'essere testimone antico e recente delle istruzioni lette attentamente. Non un tasto in comune, non un percorso, passando per bi e ci dalla a alla di. non un cablaggio, non una connessione. Non la contemplazione, nemmeno l'esperienza. Ma una delicata, leggera confusione perche mi sfugga come una stoltezza l'invocazione a te, mio generale, mia generalessa. E al posto del carattere. E al posto del carattere, mia cara, poniamo una tempesta, un caso esterno, un alto mare che i giorni, i mesi e gli anni inseguono e non possono afferrare. Io decorato di passamanerie come un divano per dirti siediti, distendi le tue gambe ed usura il tessuto col tallone, poi dormici su che poi, quando ti svegli, parlandoti di me ti diro "Egli. Egli e qui. E qui ed ora" e non ti diro altro. Non parlero di stili e di reliquie. Tutto e recente come uno squillo di sveglia. La data piu vicina e un dormiveglia. E al posto di cose ci sono le cose. Poniamo le cose esaurite, le stesse. E dopo le stesse mettiamo le cose se le medesime vanno esaurendo. Un bel poligono al posto della stella e nel quadrato il tondo andando bene. Nel coraggio di Achille le rotelle per fare l'orlo alle pastarelle. E supplicante l'immagine e morente, narciso e dalia insetto galleggiante, come pasto rimastica le spente nature morte virtuosamente. Ahi! C'e qualcosa che cade e una cosa sta su. Ahi! C'e del chiaro e del bruno c'e, c'e una chiusa cosa in se fa un rumore un po' tacito. Sembrerebbe il sussurro dell'acqua. Ahi! C'e qualcosa che odora, una profumo non ha. Ahi! C'e del grande e del piccolo. Una c'e fintantocche ce n'e un'altra che mormora. Sembrerebbe il sussurro dell'acqua. Ahi! C'e qualcosa che chiude, una schiude, una resta dov'e; c'e dell'asciutto e dell'umido nelle cose, cosicche piatte l'une altre ripide. Sembrerebbe il sussurro dell'acqua. |
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4. |
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5. |
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"La moda e generosa", pensi
cade piu docile delle mura, piu facile dei bastioni: ai tuoi piedi, sciolta la chiusura. Dici i Greci, e pensi sono pieghe, son colori i Fenici, e i Macedoni fibbie, intimi i Latini. "La moda e generosa", pensi meglio di un pugile si risolleva piu agile perde i sensi crolla in pezzi senza alcun patema. Dici i sogni e pensi ai bottoni, son asole i risvegli, e gli scolli effusioni, e spacchi gli sdegni. E chi teme la moda e immerso in essa comunque e d'essa intriso come un cardo dal gambo reciso. E dici e molto comoda se esclude sempre di presentarsi in figure, in tagli, forme e positure, immediatamente tutte nude. Cosi che quando passa questo eccesso ci pare non avere perso nulla, ci pare non avere perso il tempo che la nudezza sbriciola e maciulla. Dici la via di mezzo, ecco la via quella percorsa dai ragazzi alteri che vanno a divertirsi nei misteri, spiegabili perche non intralciati, dai cupi sedimenti dei passati. Mi dici il mezzo giro, quello che va di moda, dei tuoi fianchi; gli occhi totali, come elianti la spossatezza semplice, formale, ed un rilassamento collegiale. Come se intorno a noi, in curvi corridoi, i disciplinatori, le studentesse e gli studenti, rapinatori del momento d'oro, consumassero un lusso di moine, un rimandare sempre all'anno dopo, frenetici in unj ballo senza scopo. Noi nella stanza accanto e la moda cambiava nel respiro, il nostro che cambiava ogni tanto. |
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6. |
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Prendiamo una carrozza anacronistica,
aggiornandola in quanto inesistente. Saliamo alla sua guida. Di redini, di lacci se ne trovano, di legami tra noi, di dolci bende. Bardiamo un animale a caso il cuore dai fianchi pretenziosi da roano. Ecco che trotta. Che ci prende la mano. Abbiamo visto le regge, dietro le inferriate, e le foreste nere e le campate non so di quanti ponti. Ho visto la tua nuca ad Alessandria, e poi me lo racconti se ci sei mai stata, se ti senti, ti sentivi osservata. Il posto e qui. e qui quel lavorio dell'erba, simile al pensiero che contiene nel vello quell'orma del tuo corpo ed uno stelo sconvolto dal tuo gomito che avrebbe dimenticato d'essere carnale, per non dimenticarlo in generale. Qui si incavano, senza corpi a pesare, le nostre impronte a muoversi, a sedere. Vedi la, vedi la e gli occhi saltano come chiaro e pupilla capinere. Ci sono posti al mondo dai quali non c'e fuga. Stanze come questa, nelle quali restano le nostre rappresentanze, i nostri uffici doganali. Dove noi veramente ci impieghiamo, avviluppati in teneri sofismi, cavilli di permessi, arzigogoli, tropismi nella nostra direzione. Una frontiera e fatta di due righe. E bastavano le dita di una sola mano mandata avanti in viaggio, e l'altra le fara da testimone si puo vedere tutto; e fermamente, se di due righe e fatta, facciamo la frontiera dove passa fauna e flora straniera. |
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7. |
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E successo quello che doveva succedere.
Ci siamo addormentati, perche e venuto il sonno a fare il nostro periodico ritratto. E per somigliarci a noi piu che noi stessi, ci vuole fermi, che appena respiriamo, e mobili ogni tanto, come un tratto sicuro di matita. Ecco che siamo la viva immagine di una distilleria abusiva che goccia a goccia secerne puro spirito. Noi dietro una colonna ridevamo per l'aneddoto, e ci contrastavamo amabilmente su aria, fiato e facolta vitale, su brio d'intelligenza, sull'indole e sull'estro, soffio, refolo, vento e venticello, sull'essenza e sulla soluzione, sul volatile e sulla proporzione, sul naturale e sul denaturato. E poi sulla fortuna. La fortuna non c'entra quando una cosa per terra si posa. E vale sia per l'estetica che per l'allodola. E lui continuava a ritrattare. A ritrattare quindi. E la reale e doppia fisionomia nostra spariva via come una coppia annoiata di visitatori da una mostra. Noi dietro le sue spalle ridevamo per l'aneddoto mimetico, drammatico, faceto, ditirambico, e ci contrastavamo amabilmente su verde, rosa e viola del pensiero, su mente giudicante, su lampo e riflessione, e sul limpido e il cupo e il commovente, su coscienza e su allucinazione, sulla celebre cena e gli invitati. Colori che divorano colori se lo spirito s'eccita, per caso esilarando, oppure ardendo, bruciando bruciando. E chi dei due ha le parti fredde cercando le tue. |
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8. |
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Per insignificanti movimenti
Tanti e tanti il volto e tutto; E tutto sta raccolto sopra il tuo bel volto. Lingua che sei straniera E non si sa se vuoi che io ti distingua dalla mia O se mia lingua ti finga. Bocca di gradazioni, intera gamma, Dalle predilezioni alla maniera amara. Bocca che mi sei cara Appena appena schiusa quando armatura in te Quella fessura e un dissuadendo le svariate forme labili d'espressione Per tentativi ed approssimazione. Ed il tuo volto e tutto nel momento in cui, Passando sopra alla tua immagine Della quale e troppo facile dire che in superficie, Affiori l'anima passando sopra la tua immagine, invece Ci si vede intraducibile l'estraneita al lavoro. Che il volto e tutto Ma non e del corpo, al quale pare unito. Il corpo, contentando il senso della nutrizione E il viso l'ascensione l'assolvenza dell'inappetenza Perche un bel volto bello se lo si puo guardare e un disimparare Del mondo questo e quello. Cosi ci s'innamora di un viso in cui L'estraneita lavora. Il corpo segue, Come un testimone casalingo e familiare Di questa apparizione, In su la cima. Quest'opera sensibile: Il tuo volto che si manifesta ed e Oltre l'ordine della natura. E come tutti i portenti tende a scomparire Piu cerchi di tenerlo a mente e nelle spire Dei ritrovamenti portentosi. E la voce del viso allora nemmeno Ricorre ai miracoli Non un riso, un pianto, Non una smorfia densa d'oracoli. Ma da senso quella voce a un solo volto che sotto il mio Rotola, si ferma e freme, alle mie mani preme Perche lo riporti in cima, In vetta al suo sistema dei piaceri. Secondo un canone, un precetto ed una disciplina Che inumidisce i capelli e per discrezione stende Un velo di madore sulla pelle. Ti spadroneggia allora il tuo godio, Disincantato in quanto, Piu e restio al racconto lenitivo, Al riassunto giulivo. E non e riso appunto E non e pianto il tuo perche il racconto e il riso e pianto il suo riassunto. Sul viso la sintassi non ha imperio, non ha nessun comando. |